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David Bowie: l’uomo che cadde sulla Terra
Osare, inventarsi, superare i pregiudizi: il mondo caleidoscopico di Bowie, nato 73 anni fa
Era l’otto gennaio di settantatre anni fa, quando a Londra nacque il figlio di una cassiera di un supermercato e di un ex militare; un bambino destinato a diventare un’icona: David Robert Jones, passato alla storia con il nome di David Bowie. E di Davy Jones, Ziggy Stardust, Thin White Duke, Starman, Aladdin Sane… mille nomi, mille personaggi, mille stili per una sola, eterea, poliedrica, straordinaria creatura.
Impossibile da afferrare, impossibile da inquadrare in un solo genere musicale, né in una sola arte: fu musicista, ma anche attore – perfetto in ogni ruolo: uno su tutti, l’extraterrestre androgino di The Man Who Fell to Earth, personaggio scritto apposta per lui – e pittore, di molti autoritratti ma anche di scorci di vita berlinese (Berlino fu una delle sue città del cuore, nonché ancora di salvezza in una fase particolarmente turbolenta della sua vita negli anni Settanta) e suggestioni emotive con un tratto che ricorda quello di artisti altrettanto passionali come Francis Bacon.
È stato ed è ancora moltissime cose, e avrebbe potuto essere qualsiasi cosa, come in quel vecchio gioco un po’ anni Ottanta, “Se fosse…?”, che identificava personaggi famosi attraverso ciò che li rappresentava di più.
Se Bowie fosse un’acconciatura, sarebbe certamente una tinta forte: il biondo arancione di The Man Who Fell To Earth, quello più freddo della maturità, o il rosso accesissimo del periodo “Life On Mars”.
E potrebbe essere anche un make-up, sempre nient’affatto minimal, anzi: all’insegna del glitter, e di tinte fluo soprattutto sugli occhi. Bowie amava giocare con il suo volto splendidamente androgino, e gli ombretti coloratissimi, accompagnati da punti luce estremi, davano risalto ai suoi occhi unici (uno dei due, a causa di un pugno ricevuto da ragazzino, aveva la pupilla costantemente dilatata: dunque sembrava avere gli occhi di due colori differenti). Sulle labbra sottili, gloss trasparente, dorato o rosa, senza nessun confine di genere.
Se David Bowie fosse un vestito non potrebbe essere una sola delle sue mise: un completo sartoriale che letteralmente non fa una piega, una tuta glitterata aderentissima, l’abito damascato da perfetta dama inglese indossato sulla copertina di The Man Who Sold The World. Sarebbe tutto questo insieme, in un unico outfit fuori da ogni canone, e l’unico a poterlo disegnare sarebbe Kansai Yamamoto, lo stilista giapponese che fu scelto da Bowie per rappresentare il suo Ziggy nel 1973: uno stile senza nessun tipo di confine legato al genere, all’epoca, alla provenienza (terrestre o extraterrestre), quello con Yamamoto è stato un sodalizio artistico che ha segnato profondamente l’iconografia di Bowie.
E se fosse un profumo? È difficile immaginare il profumo di una creatura che sembrava venire da un altro pianeta, qualcuno lo ha descritto come il profumo di un bosco incendiato che inizia la sua rinascita – un profumo fresco, legnoso, di erba nuova – e altri hanno azzardato addirittura il nome di qualche brand; noi siamo sicuri che la fragranza unisex L’Equivoco Stravagante di Ethos Profumerie – con le sue note ambrate e legnose, e quel tocco davvero stravagante di caffè – sarebbe stata perfetta per il Duca Bianco.
Il gioco del “Se fosse…?” con David Bowie può andare avanti all’infinito, come infinito è il patrimonio artistico che ha lasciato, e che lo ha reso immortale, come una vera creatura proveniente da altri mondi e “Solo in visita” su questo pianeta.
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